Oggi i musei diventano sempre più luoghi di comunicazione in cui divertirsi, sorseggiare un cocktail o fare un aperitivo a tema, cenare o ascoltare musica. All’estero il fenomeno è ampiamente diffuso, dalla Francia con il Centre Pompidou di Parigi, il primo per così dire a “mutare” negli Anni Novanta, al famoso Metropolitan di New York che ospita le feste più trendy a partire da quelle di Giorgio Armani e di George Clooney. E anche in Italia il fenomeno si sta diffondendo come ci mostrano gli esempi della Triennale della Bovisa a Milano con la sua Havana Hora e del progetto MAC ( Museo di Arte Contemporanea ) di Libeskind sempre a Milano.
Queste iniziative sono legate per lo più a musei di arte moderna e contemporanea, che sicuramente si prestano più facilmente a tali operazioni, ma la vera sfida potrebbe essere pensare qualcosa del genere per i musei che raccolgono collezioni classiche, medievali e rinascimentali. Da sottolineare è sicuramente anche l’intervento di grandi imprese, come Havana Club nel caso citato della Triennale della Bovisa, nel promuovere tali iniziative che possono essere d’aiuto sia al brand dell’azienda sia nella gestione economica dei musei.
Le critiche non mancano: la più forte è quella di Adriano La Regina, archeologo e soprindentente di Roma, che ha definito queste operazioni “forzature strumentali, una vera prostituzione delle istituzioni culturali” e ha poi rincarato la dose con “siamo circondati da cose di pessimo gusto, passeggiare in galleria e sentire la puzza di pesce dei banchetti aziendali è inaccettabile”.
Questa rivoluzione museale, se fatta con criterio, potrebbe veramente essere utile per avvicinare e coinvolgere molte persone e riscoprire la funzione originale del museo: far conoscere, rendere proprio il patrimonio culturale di un territorio ai suoi cittadini e ai suoi visitatori, insomma di comunicare l’arte e la cultura e farle incontrare in un luogo coinvolgente e che susciti interesse.
E voi da che parte state?
Luca Taddei.
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